Frammenti di un blog scomparso (post numero 100)

Per "celebrare" il post numero 100 ho deciso di pubblicare tutto quello che resta del mio primo blog, aperto su splinder (l'indirizzo originale era paesaggiquasiautomatici.splinder.com) alla fine del 2004 e rimosso pochi mesi più tardi in un momento particolarmente infelice. Senza ovviamente aver salvato niente. Per fortuna (o per sfortuna) c'è chi ci ha pensato al posto mio.  
Forse non tutti sanno che esistono una fondazione e un portale statunitensi dedicati ad una delle più colossali imprese di conservazione della memoria nella storia dell'umanità: archive.org. Tra i molti progetti che portano avanti c'è infatti anche waybackmachine, un motore di ricerca che scansiona l'intero web archiviando i contenuti delle homepage di tutti i siti esistenti. Nei loro server sono conservati, ad oggi, 240 miliardi di pagine web, archiviate a partire dal 1996. Tra queste, ovviamente, c'è anche il mio defunto blog, anche se non interamente. Ma ho ragione di credere che almeno un buon 80% dei contenuti siano stati salvati. Negli anni seguenti sono stato in grado di ricostruire qualcosa a memoria, mentre di alcuni testi conservo la prima stesura cartacea. Qui presento i post in ordine cronologico così come sono apparsi tra il novembre 2004 ed il marzo 2005. 

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23 aprile 2004: Andrea Giacobbe, Davide Valecchi


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mercoledì, 03 novembre 2004
Ho cominciato a vedere figure nere 
Proprio ieri, in mezzo agli alberi, tornando a casa. Un fotogramma, un battito di ciglia. Un'immagine subliminale, a voler essere contemporanei. Il profilo della più classica figura nera, un attimo e poi svanita. Era comunque la prima volta che accadeva. Un avvenimento tipico, pare. Prima o poi doveva succedere.

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venerdì, 05 novembre 2004



Ieri era il tuo compleanno 
Avrei dovuto percepirlo attraverso qualche evento naturale. Un'inaspettata pioggia, la forma di una nuvola, una luce diversa, un soffio di vento come parole incomprensibili, sapendo che si tratta di parole. Perché comunque sei legata alla contingenza fisica, biologica, di questo pianeta; come lo sono io. E invece tutto ha preso la sua forma nel modo consueto e se per un attimo ho creduto di percepirti in un anfratto dell'aria so adesso che si trattava di immaginazione. Ho passato una giornata intera nel bosco ed erano mesi che non accadeva. Stupidamente ho creduto che ti avrei incontrata lì: una tua impronta, una fibra del tuo vestito rimasta tra gli aghi di un ginepro, un tuo capello mischiato alle foglie, l'immagine appena accennata del tuo volto disegnata sul lato umido dei tronchi, quello che da sempre indica il nord. O magari tutti questi segni c'erano davvero ed io non ne ho trovati; il mio percorso non era quello giusto. Ho visto due grandi salamandre, nascoste nel cavo di un castagno, come addormentate, gialle e nere, bellissime. Non ne avevo mai viste di simili nel bosco, prima d'ora.

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domenica, 07 novembre 2004
l'autunno è una questione di voci 
Ed io che mi ero piccato di conoscerle, le piccole voci inumane. Anni interi a ripetere che il vento parla, o forse, mi parla. I piccoli suoni che non ci appartengono, raccolti in luoghi naturali o stanze vuote da decenni. Fino quasi a farne un emblema, un vessillo da mostrare solamente ai consanguinei. E non avevo riconosciuto la tua, di voce, forse più tenue delle altre, ma certo cristallina. Il particolare fruscìo delle foglie, quando era diverso dal solito. O quel clangore metallico appena accennato, che potevo ascoltare di notte, a volte, nel silenzio quasi assoluto. E proprio oggi, rivolto verso l'erba luccicante che guardavo ondeggiare lentamente, troppo lentamente rispetto al vento di tramontana così forte e perentorio. Lì, nel mare dei suoni, ancora una volta, la tua nota.

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martedì, 09 novembre 2004
she never sleeps
Perchè dovrei avere paura? Samara Morgan non esiste. E' solo un film. L'attrice è una bambina che si chiama Chase Daveigh. Lei è una persona vera, non l'altra.

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mercoledì, 10 novembre 2004

Quello che nei sogni ho avuto in sorte 
Edifici di pietra e mattoni, arancioni nel sole pomeridiano; accesi, si potrebbe dire. La campagna toscana: cipressi, querce, castagni, olivi, immensi filari di viti, casolari e pascoli, nuvole in rapido moto. Con gli occhi di qualcun altro che li ha visti prima di te e che in qualche modo ti comunica mentre dormi. O sei tu in un'altra vita. Perchè la luce non la riconosci. Reminiscenza, la chiamano. L'inconscio ci comunica coi sogni frammenti di verità sepolte.
A volte intendo chiaramente la struttura dei sogni: capisco come il cervello riscrive gli eventi vissuti cambiandoli. Ho interi quaderni in cui annoto i sogni che faccio. Li ricordo per anni, anche quelli di quando ero bambino: a volte riemergono come ricordi di vita cosciente e prendono il loro posto, pretendendo considerazione. Recentemente mi sono imbattuto in alcuni nomi di persone che forse non sono reali. Almeno non qui. Per esempio: molti anni fa ho conosciuto una ragazza che forse non è mai esistita.
Potrei parlare anche di città immense e viaggi tra le stelle, muraglie in rovina e campi d'erba a perdita d'occhio sotto un sole blu cobalto. O di una partita di calcio giocata nel 1936 a cui ho partecipato. Dove c'era il campo da gioco adesso scorre la ferrovia [la fotografia è una rappresentazione grafica di fosfeni].

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venerdì, 12 novembre 2004
Un'epoca di ruggine e di pioggia
L'aria fradicia di questi giorni lascia su ogni cosa un alone di quieto sfacelo; esistenze vegetali in lenta decomposizione. Qui.
La musica di chi ti è vicino assume nuove sfumature e pare adattarsi alla lunghezza d'onda del paesaggio preda della propria stagione. Nei fossi dove lo scroscio si intensifica le foglie suonano un'altra musica e lentamente il calcare ricopre fili di rame di congegni fatti a pezzi. I tuoi passi lasciano pesanti impronte nel terreno smosso da denti di ferro. Una parete di terra brutalmente messa a nudo mostra strati colorati corrispondenti ad epoche passate; e radici strappate. Ti avvicini per vedere se esiste qualche segno di un passaggio, i resti di un fuoco, fibre di persone dimenticate. Ma tutto è inviolato: un luogo che non aveva bisogno di sguardi. Cerchi una metafora, un'attinenza, una similitudine o qualsiasi altra figura retorica che ti leghi alla terra. Ma si tratta in fondo solo di artifici linguistici e per oggi non sembra possibile alcun ritorno, alcuna identificazione.

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martedì, 16 novembre 2004
John Balance (1962 - 2004)
Ogni parola sarebbe inutile.
Il vuoto è certamente incolmabile.
Un giorno troverò il modo di scrivere di John e dei Coil e di tutto quello che per me hanno rappresentato.

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mercoledì, 17 novembre 2004
Immobile nel sole e nel silenzio
Rimanere immobile rivolto verso il sole, mentre intorno tutto è silenzio eccetto il quieto drone di un aereo, altissimo, o lo sporadico ticchettio di un picchio che scava nel legno di un castagno. Era qualcosa da fare, oggi. Un falco che saliva lentamente, in spirali concentriche sempre più strette, me ne ha dato conferma. Riflessi di fiamma sul piumaggio: bisogna avere rispetto per i rapaci, perchè rappresentano il nostro futuro. I pomeriggi di Novembre a volte portano anche regali come questi, mentre nelle orecchie un ostinato ronzio permane e alcune frasi, come mantra, si susseguono senza soluzione di continuità.... our fathers and mothers have failed to release us into the welcoming arms of the amethyst deceivers ...

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giovedì, 18 novembre 2004
Oggi ho indossato la tua mancanza
  
Oggi ho indossato la tua mancanza
in ogni luogo che ho occupato:
una giornata intera nel tuo segno,
come se conoscessi il tuo sapore.

Osteso ad ogni frammento di senso,
pericoloso contraltare in tutto,
ora che la pioggia ha lavato via
la polvere e la luce di un sole
riemerso fissa forme inesorabili.

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lunedì, 22 novembre 2004
paesaggi quasi automatici 
Qualcosa finiva, sedici anni fa.
Di primo mattino giunse la neve, durata un giorno appena.
Mi portarono in un'altra casa mentre il sole si faceva dolce.
Un luogo dove attendere, abbacinato, il corso degli eventi.
Altrove proseguiva la preparazione del rituale, la profusione di parole e sospiri.
Il mio campo visivo si era ridotto, in quei giorni. Un lucore chiaro circondava le immagini.
Una strategia difensiva, senza dubbio.
Molta gente volle parlarmi, ma non ricordo suoni e non saprei dire quali
volti avessero, chi fossero.
Ricordo invece una litania che allora non capivo, quasi gridata: "Rinnovatevi,
rinnovatevi".

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martedì, 23 novembre 2004
Avventi notturni 
Stanotte Kira è venuta a visitarmi. Io l'ho abbracciata: ma era lei a tenermi in braccio, creatura silenziosa e spirituale.
Avevo visto un serpente addormentato tra le pietre di una torre antica, a picco sul mare: se ne stava abbarbicato, quasi invisibile, ad un gargoyle. Mio nonno aveva 20 anni e si tuffava nei flutti, incurante del pericolo. Non era questo il luogo pauroso. Lo proclamava
l'ocra della terra ed il sole tenue.
Poi era un pomeriggio umido: fuori erba fradicia, dentro uno stanzone grigio riempito di gente che mangiava, seduti intorno a tavoli di plastica sbrecciata, quasi resti di un naufragio. Luci al neon, fili di ferro come spettrali festoni da parete a parete.
E tu eri proprio là, seduta accanto all'altro. L'idiota, il non-parlante, il solo-carne, il giovane animale feroce e stupido, colui che la prima volta ti ha dato solo dolore.
[ - ti è piaciuto? - NO].
In quel momento avevo Kira accanto a me. E disperatamente cercavo i tuoi occhi perchè trovassero la dolcezza dei suoi e con essi la comprensione; e un mondo.
Invece ti facevo paura, anche se a stento riuscivo a trattenere le lacrime. Crollare, l'unica cosa da fare.
Ritrovarsi fuori poi, seduto sull'erba, dall'altra parte della strada.
Kira inseguiva un piccione.
Una famiglia seduta vicino a me parlava di lucertole e avevano un secchio pieno di rane. Lasciatele andare, dissi.
Dopo qualche istante chiamai: Kira.

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MERCOLEDÌ, 15 DICEMBRE 2004
In primo imbrunire
 
Ti dimentico.
L'immagine del tuo volto lentamente abbandona la superficie ed affonda dentro di me.
La tua voce si confonde con gli innumerevoli toni del giorno e della notte; gli stessi dove credevo a volte di sentirti parlare.
I tuoi pensieri erano i miei.
Ora che sono finite, le tue lacrime risiedono in un luogo dove non avrò cittadinanza.
Le canzoni ti troveranno.
Gli anni ti troveranno.
I ricordi ti troveranno.
Cerca di restare in piedi, in quei giorni.

[Where are you?
Are you hiding from me?
Are you in some place we cannot reach?
Are you bathing in moonlight or drowned on a beach?
Show yourself so the others may see you.
Show yourself so the others may feed you.]
[coil - where are you]

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VENERDÌ, 17 DICEMBRE 2004
[...]
Stamattina le piccole voci mi hanno trovato vigile. Prima dell'alba ho dedicato loro un pò di tempo. Nessuno vaga per i campi, a quell'ora. Fugaci apparizioni di fuochi, piccole
colonne di fumo che non sono nebbia.
Is there anybody there? Show your faces if you dare.
Ogni goccia riflette i mie occhi, ovunque.
Il volto che appare qui sotto è ancora lì, tra le nuvole e un ramo di ciliegio.
Non è stato un buon esorcismo.

Ma per apprendere il tempo non manca, anche se tutto ciò che è stato fatto esisterà per sempre: scritto, indelebile come una parte necessaria dell'universo.

{ Il ciliegio estirpato dal muro giaceva per terra con la sua enorme chioma e le radici rotte. [...] Nella parte di muro dove il ciliegio aveva insinuato le radici si vedeva una
breccia, una specie di antro scavato tra le pietre, puntellato all'interno da qualche palo per impedirgli di crollare. [...] Proprio davanti al grosso buco nel muro che segnava dov'era stato il ciliegio divelto c'era un uomo seduto in terra e con le mani allacciate sulle ginocchia. Ogni tanto scioglieva le mani e dava qualche colpo al vestito per ripulirlo [...]. Quando arrivammo alla sua altezza, l'uomo alzò gli occhi su di noi. [...] Pareva proprio uscito dalla grotta umida aperta nel muro alle sue spalle. [...] Io guardai il mio compagno, e il mio compagno guardò me; pensai nuovamente: "E' un idiota". Ma l'uomo disse subito in tono civile:
"Mon nom est Fedor Dostoevskij."

Guido Piovene, Le stelle fredde, 1970 }

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SABATO, 18 DICEMBRE 2004
E per noi le stelle...

In una mattina come questa
il sole accecherà la Terra
con perfetto sincronismo
arriveranno gli invasori

aspettando quel momento
le nuvole volano via
si consuma la mia vita intera
mentre rimago in attesa

Potrebbe essere domani
forse oggi
non chiedermi come lo so
perchè non potrei dirtelo

E' vicino il momento
in cui i cieli si riempiranno
una legione di alieni
sta per apparire

In una mattina come questa
il sole accecherà la Terra
con perfetto sincronismo
arriveranno gli invasori

[Libera traduzione di "Legion of Aliens" dall'album Plasteroid, Rockets, 1979]

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LUNEDÌ, 20 DICEMBRE 2004
There's always the sun
Certe volte riuscire a vedersi vivere può essere salutare, al fine di evitare un pò di dolore: obbiettivo tra i primari e meta-obbiettivo per eccellenza. Tra placebo dalle innumerevoli spoglie scegliere poi quelli che più si confanno alla nostra veste.

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GIOVEDÌ, 23 DICEMBRE 2004
Chance meeting on a dissecting table of my two previous egos
Il sole, logicamente, inondava i campi ancora umidi nonostante fosse passato il mezzogiorno. Tra declivi e tenui smottamenti che mettevano a nudo la terra ho riconosciuto nidiate di piccoli cani bianchi che ho deciso di accudire. Tutto intorno resti di giochi in plastica colorata, sbiaditi dalla lunga permanenza all'esterno: Lego, in maggioranza. Ancora più in là una torre tortile: babele in miniatura di fango ed erba. Percorsa da un sentiero a spirale fino alla sua sommità, era popolata di uomini minuscoli che si muovevano avanti e indietro trascinando carri colmi di mercanzie o creando capannelli di curiosi che assistevano a dimostrazioni di magia o altre arti di natura sconosciuta. Da qualche parte, ho pensato, Ur deve offrire spettacoli simili in scala naturale.

Dopo ho incontrato un uomo che trasportava grandi gabbie piene di merli, sia maschi che femmine. Stipati all'inverosimile e ammassati l'uno sull'altro. Gli ho urlato contro e l'ho scacciato, l'uomo col mantello ed il cappello nero; poi ho reso la libertà agli uccelli. Qualcuno è volato via subito, altri si aggiravano confusi tra le gabbie aperte buttate per terra.

E poi ero in prigione. I Piombi di Venezia. Qualcuno mi spiegava come ai
colpevoli dei crimini più gravi venisse applicato un collare di ferro. Nell'umida oscurità intuivo il sole da un pertugio. Ero sconfitto. Poi è venuta una donna e qualche minuto dopo ero fuori con lei, seduto su una panca di legno ad osservare l'acqua scorrere e il riflesso dei salici cambiare continuamente.

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LUNEDÌ, 03 GENNAIO 2005
Bow down before the one you serve...*
Improvvissamente ieri sera mi sono trovato di fronte ad una mia radice. Io lo chiamo anche, con poca accuratezza scientifica, imprinting. In tutti questi anni la lenta discesa verso i margini del conscio, in pochi secondi l'affioramento. As the minutes gain momentum like a bird. L'alieno e freddo paesaggio delle montagne della follia si fonde in dissolvenza con i campi digradanti verso il lago intorbidito dalle frane, mentre il vento. Le parole della canzone scivolano via senza lasciare traccia, ma è la musica che genera. Vorrei offrire una grandiosa epifania ma tutto è solo nella mia testa. Comunque. Il brano è "terrible lie" dei nine inch nails, l'anno il 1989.

*...you're goin' to get what you deserve

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LUNEDÌ, 10 GENNAIO 2005
Il Grande Nulla non esiste
Andai nei boschi solo per riempirmi gli occhi di frammenti di esistenza vegetale e minerale. E chiaramente alla ricerca di un comodo placebo per illudermi di uscire dal cerchio che chiude la nostra specie. In un certo qual modo non ero solo. Per ogni angolo di visuale scene consuete che da migliaia di anni riempiono le pagine della poesia: impossibile trovare qualcosa da aggiungere.  Un'ora per liberarmi dalla contingenza animale: impresa inutile. Ho preso delle fotografie di piccoli luoghi; templi naturali eretti in nome della tabula rasa che ci attende. Dopo la nostra scomparsa, quando anche la nostra piccola stella si sarà consumata,  la vità continuerà. Gli elementi  si combineranno ancora e ancora; i pulviscoli si addenseranno in masse sempre più grandi fino ad innescare reazioni atomiche e nasceranno nuovi corpi celesti. La polvere riposerà immobile. Anche quella sarà esistenza. E vita.

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LUNEDÌ, 17 GENNAIO 2005
I think last night you were driving circles around me...
Nel folto, dove una volta si raccoglievano olive, neanche la luce del sole riesce a filtrare con la forza necessaria, adesso. Ma è qui che vago, nascosto alla vista. Abbacinato Clov. Qualcuno si è disfatto di mura antiche, bacili di pietra ed altri oggetti morti. Tutto ha il sapore, il colore e l'odore del dopo. Tenue umidità vegetale di muschi che ricoprono le vestigia di un tempo finito: il nostro. Continuo ad ascoltare voci rimaste sospese per anni nei luoghi dove per la prima volta scaturirono. Anche la mia, quindi. Il fantasma di quello che ero mi attraversa silenziosamente: c'era la neve allora ed era bello lasciarsi scivolare fino al limite del burrone, immaginandoci coraggiosi. Mia madre non ritrovava più la fede nuziale alla fine di quel giorno ed ha sempre creduto di averla perduta qui. Inspiegabilmente la vegetazione così fitta di vitalbe e rovi si apre a tratti per lasciare scoperti cerchi quasi perfetti di erba bassa. Nessuno è stato qui da anni. Ne sono assolutamente certo.

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GIOVEDÌ, 20 GENNAIO 2005



Ciao piccola Kira
La tua piccola anima mi veniva a trovare in sogno, per confortarmi. Spero che ancora lo farà.
E qui sulla Terra non ho mai provato una sensazione di sicurezza e protezione come quando avvertivo la tua presenza lieve durante la notte.
E non ho mai ascoltato la tua voce, anche se credo davvero di conoscerla.
E adesso le parole mi sfuggono, com'è necessario.
Ciao piccola Kira.

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GIOVEDÌ, 27 GENNAIO 2005
mv * /dev/null
In questo giorno così bianco, tanto che i confini delle cose sono ancora più indefiniti del solito, ecco una canzoncina adatta a celebrare una fine, contemplando piccole macerie: A Loss I Can't Recall. Se avete voglia di ascoltarla, o lo state già facendo, immaginatela provenire da un vecchio walkman gettato sulla banchisa polare, niente e nessuno per migliaia di chilometri intorno. Stupida allegoria di un'estinzione.

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LUNEDÌ, 31 GENNAIO 2005
Salò o Le 120 Giornate di Sodoma
I Coil dovevano amare profondamente Pasolini. E Salò in particolare: il loro primo album si intitola infatti Scatology, e nel successivo, Horse Rotorvator, sono presenti i bellissimi brani Ostia (the death of Pasolini) e Circles of Mania. Seguendo le loro visioni mi sono imbattuto in questo film allucinante. Come molti sapranno si tratta di una fedele ricostruzione de Le 120 Giornate di Sodoma del Marquis ambientata nella Salò repubblichina. Indiscutibilmente si tratta di un'opera d'arte; e bellissima, per giunta.  Sapere che Pasolini fu assassinato poco dopo la fine delle riprese, nel 1975, ricopre il fatto di cronaca di macabri e simbolici significati: è quasi come se la violenza orgiastica del film, la celebrazione del dolore, dell'umiliazione e della morte si fossero protratte fuori dalla pellicola per investirne il suo autore fino alla perdita della sua stessa vita. Ed è forse un pensiero simile a questo che spinse i Coil verso le loro celebrazioni, tanto da risultarne poi come un aspetto essenziale della loro poetica della diversità.  Nel film è fortemente avvertibile anche la feroce condanna politica verso tutti i regimi autoritari e, di conseguenza, il disgusto dell'intelletto di fronte ad un'opera come le Giornate. Ma questo è un aspetto che all'interno del percorso artistico ed esistenziale dei Coil non ha peso alcuno; come a dire che subire il fascino del lato oscuro, al di là della frase fatta, può essere più facile di quanto le nostre coscienze emerse vorranno mai ammettere.

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MARTEDÌ, 08 FEBBRAIO 2005
Romae imago in somnis mihi venit
E dopo venti anni ho rivisto le rovine dei templi. Allora non capivo bene e non conservo che piccole immagini sfocate, particolari slegati dal tutto. E dire che quello che resta, adesso, è solo una distesa di frammenti, di particolari, appunto. Ho immaginato questo posto al tempo del suo splendore: bellissimo e terrificante. The Call Of Cthulhu. Un vuoto pneumatico nel petto: un'ansia indefinita che io chiamo 'effetto passato'. E rabbia, per come nei secoli tutto sia stato abbandonato, abbattuto, saccheggiato, sfregiato, violato; anche se molti erano templi innalzati al sangue. Piccole, poche, inadatte parole.Roma caput mundi.

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GIOVEDÌ, 10 FEBBRAIO 2005
Modern Talking
Nel 1984 mia madre mi comprò un walkman rosso. Al piano sotterraneo della Standa c'era anche un reparto di musicassette ed ebbi il permesso di sceglierne una da ascoltare in treno, tornando a casa. Pochi giorni prima avevo visto i Modern Talking in televisione che eseguivano 'You're my heart, You're my soul' in rigoroso playback, Dieter Bohlen con Fender Stratocaster e Thomas Anders con lo strumento che è stato il mio sogno di bambino: un synth della Roland da portare a tracolla. Mi era sembrato un brano fantastico e colsi l'occasione per chiedere alla commessa, non senza un certo imbarazzo, il disco del duo tedesco. Quella cassetta piaceva anche a mia madre ed insieme scoprimmo il significato di 'stereofonia', dato che fino ad allora l'impianto di famiglia era niente di più che un mangianastri mono marca 'Badenvox', risalente ai primi anni '70. Il walkman rosso non aveva il tasto 'eject' e questo particolare mi faceva vergognare un pò.
Nei miei sogni i Modern Talking erano il mio gruppo: a me il ruolo di Thomas Anders (che allora credevo fosse il 'leader' del duo), mentre il posto di Dieter Bohlen era affidato ad un ragazzino che stava in classe con me alle elementari, S. Nel gruppo immaginario c'era anche una ragazza, B., anche lei compagna di classe e mio segreto amore di quegli anni. Ogni domenica mattina, prima che in casa mia tutti incominciassero a svegliarsi, prendevo il mio walkman rosso e ascoltavo tutta la cassetta, sognando di stare su un palco davanti a migliaia di ragazzi felici. Ogni tanto volgevo gli occhi verso B. per lanciarle uno sguardo complice subito ricambiato. In fondo, tutto era ancora davanti.
Nè S., nè B. hanno mai saputo niente di tutto questo: era solo un viaggio mentale ed emotivo che conducevo in perfetta solitudine. Non vedo S. da qualche anno, oramai; dicono che si sia trasferito a Torino. Negli anni dopo le superiori si era fatto crescere i capelli a tal punto da essere stato soprannominato, anche in virtù dei suoi occhi celesti, 'Gesù'. B. poi seppe del mio amore. Una volta le ho sentito dire cose agghiaccianti: a 13 anni siamo esseri crudeli. L'anno scorso è diventata mamma.

... e per fortuna io non sono diventato Daniel Johnston...

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MERCOLEDÌ, 16 FEBBRAIO 2005
Endecasillabi
A monte dei tuoi occhi giace intera,
volta indietro verso i luoghi di polvere,
la teoria di occasioni e di silenzi
che mi è struttura discreta ma ferma.

Lungo torrenti di pietra friabile
risalgo fino a un posto iridescente
dove ho confinato la tua memoria
dentro di me, arancione e pomeridiana.

Allora come adesso onde corte
ultraterrene ai margini dell'aria
che ascolto e non intellego: non tu
che mi raggiungi dalle tue distese
ma la tua mancanza che per me crèpita
più forte qui, dove il tuo nome sepolto
un giorno anche io dimenticherò.

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DOMENICA, 27 FEBBRAIO 2005
Una frase, un rigo appena
A volte bastano piccole cose per farmi felice. Questa è una banalità, ma è comunque così. O meglio: questa è una banalità postmoderna: ha più sapore in questo modo.
Nella contingenza temporale, o fattispecie, si tratta di ieri sera.
Hai pronunciato la frase: "Mio padre mi dice sempre: "Ma quando andate tu e Davide a prendervi le lauree?"". 
E' stato come un habeat corpus, il rilascio di un certificato di esistenza, la mia.
Sono sicuro che non hai bisogno di ulteriori spiegazioni e che hai colto esattamente il significato di quello che volevo dire, come spesso accade quando faccio fatica con le parole.

I'm recalling all active agents.

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MARTEDÌ, 01 MARZO 2005
chmod -R 777 / 
Un'epoca di frane si preannuncia mentre imparo il significato della parola corrusco e scorro coi polpastrelli superfici cartacee prossime alla dissoluzione impregnate del profumo della polvere l'apparire e scomparire del sole attraverso i rami mentre sulla neve proiettano ombre velocissime volatili sconosciuti che vorrei accompagnate da un suono celeste mentre ripercorro gesti uguali e seguo i miei passi rimasti da tempo immemore impressi nel fango seccato e diventato pietra fossile ho visto il ghiaccio nel lago e ho gettato un sasso enorme per spaccarne la superficie ma è stato il sasso ad andare in frantumi in onde sonore concentriche che si spengono nell'aria a volte qui vicino ho raccolto frammenti credendoli importanti troppo spesso e li ho classificati e catalogati uno per uno e avrei voluto trovare loro un nome per promuoverli allo stato di cosa e forse avrei voluto classificare e dare un nome anche a me stesso mentre quasi immobile osservo in controluce l'erba ingiallita spuntare dalla terra e le miriadi di rimasugli minerali e vegetali mirabilmente disposti in quella che vorrei chiamare quidditas senza alcun ritegno come per sostanziare questo scorrere indolente questa vita incolume questo osservare dietro ad un vetro le vostre facce che cambiano nel tempo mentre qualcuno mi dice che non è assolutamente vero che la vecchiaia non esiste che non esistono stagioni e che quello che siamo lo saremo per sempre dall'inizio alla fine e forte di questa convinzione e schiavo di questa convinzione cara Valerya ti ricordo ancora come se nulla fosse stato come se tu fossi diventata quello che immaginavo l'unica a poterlo sapere lo troviamo nelle canzoni inglesi a volte e Valerja è l'unica che lo può sapere anche se pure io lo sapevo non solo Valeria appariscente Valereea paradigma degli anni ottanta simbolo degli anni migliori degli anni peggiori degli anni bruciati senza saperlo delle centinaia di vite sprecate in un respiro in volgere di istante ai colori cambiati ai pensieri ridicoli che spesso ancora mi tormentano oggi ricordo il bianco dell'attesa e la sensazione di alienità da tutti voi mentre ognuno gridava la sua verità ed io rimasto senza compagni gridavo suoni inarticolati per far parte del coro e fuori come adesso ombre velocissime ci lasciano a terra inesorabilmente