RIDE: Going Blank Again (1992, Creation Records)
1992: gruppo di punta della Creation Records di Alan McGee in quel periodo (insieme ai Primal Scream) e alfieri dello shoegaze, i Ride giungono alla prova del secondo album stemperando i furori noise del bellissimo debutto "Nowhere" (1990), in favore di composizioni più articolate ed eleganti. L'album è molto più "prodotto" rispetto al suo predecessore e la differenza si sente tutta. In pratica il noise è relegato solo alla coda dell'epica "Leave them all behind", pezzo di sicuro memorabile e altisonante dichiarazione di intenti, sparato subito all'inizio del disco in tutti i suoi gloriosi 8'16''. Il resto dell'album prosegue nei toni di una piacevole psichedelia virata pop che regala gioellini ancora oggi gustosissimi in cui si possono apprezzare gli intrecci chitarristici e vocali (con magnifiche armonizzazioni) del duo Andy Bell/Mark Gardener. Qua e là compaiono anche le tastiere, che fanno bella mostra ad esempio in "Chrome Waves", conferendo al brano una decisa nota wave molto evocativa. I Ride erano destinati al successo. Poi, nel 1994, la Creation mise sotto contratto gli Oasis e la storia proseguì non come avrebbero voluto i Ride, immagino. Significativo a questo riguardo il fatto che Andy Bell sia poi entrato negli Oasis come bassista (e, aggiungo io, sacrificando non poco il suo notevole talento di songwriter).
Nel 1992 avevo 18 anni e questo disco (comprato a Londra, da Harrod's, in musicassetta) rappresentò per molti mesi "la" musica. Come chitarrista imparai subito i riff di "Leave them all behind" e quando ho iniziato a suonare anche il basso una tappa obbligata fu ripercorrere le note di quel glorioso giro. Dai Ride per primo ho imparato che gli accordi aperti (sulla chitarra) e la distorsione possono fare miracoli, permettendoti di suonare cose semplicissime ma di grande effetto. I Ride, con "Leave them all behind" in particolare, sono riusciti a suscitare in me quel perfetto insieme di sensazioni che (probabilmente da allora) ho sempre cercato di evocare in qualsiasi mia espressione artistica: nostalgia, sospensione, ineluttabilità, un senso di perdita inesorabile ma dai contorni dolci. Prima di loro avevo provato le stesse cose solo nei dischi degli amatissimi The Church. Non ho un nome per questa sensazione, forse dovrei chiamarla melanconia. Forse.
Ride