Il ronzio della cabina elettrica

Il ronzio della cabina elettrica
ai piedi dello sterrato
arriva come un presagio del freddo
quando le macchine non ce la fanno
e bisogna lasciarle in fondo per risalire a piedi.

Di solito siamo alla fine dell’estate
e accolgo il contrattempo come un pretesto
per fissare lo sguardo sui margini stradali
dove nella ghiaia si vedono a volte
piccole monete incrostate di terra
più rare dei pezzi di filo bicolore
o delle lenticole rosse in materiale plastico:
a monte alcune case non sono state finite.

aal: the secret sharer

Questo brano è stato composto originariamente nel 2001 come titletrack di un album a nome diagonal chains (nom de plume che ho usato in passato per produzioni elettroniche e industrial). Ri-arrangiato per essere suonato con un nuovo set di strumenti analogici e digitali è stato incluso nel live set dei Downward Design Research ma suonato dal vivo una volta soltanto (per la precisione al Keller Platz di Prato). Tornato nelle mie mani ne ho realizzata una versione nuova in modo da poterlo eseguire dal vivo durante le mie apparizioni soliste come aal. In ogni caso il destino di questo brano è quello di evolversi perché al momento fa parte di un nuovo progetto musicale che vede coinvolti il sottoscritto e Luigi Maria Mennella  (F.ormal L.ogic D.ecay, En Velours Noir, Furvus). L'ispirazione (e il titolo) vengono da un bellissimo romanzo breve di Robert Silverberg (ne è stato tratto anche un audiolibro che consiglio vivamente), a sua volta concepito come "traduzione" in chiave fantascientifica del classico di Joseph Conrad dallo stesso titolo. 
I suoni provengono da: Acces Virus TI, Clavia Nord Drum, Akai MPC 1000 (contenente banchi di suoni rigorosamente originali). Enjoy.

L'infinito è dentro al foglio

Si intitola come un suo verso la serata dedicata alla memoria di Massimiliano Chiamenti, il poeta, saggista e filologo scomparso il 3 settembre di due anni fa. Poeti e amanti della poesia di Massimiliano alterneranno le loro voci leggendo alcuni suoi componimenti, accompagnati dalla musica dal vivo di Davide Valecchi (aal).

Massimiliano Chiamenti (nato a Firenze, “adottato” da Bologna dove viveva, scriveva e insegnava) è stato docente, collaboratore di numerose riviste culturali e letterarie, traduttore per libri e riviste. La sua poesia, che spazia dal linguaggio più crudo a momenti intimi e delicati, è una poesia attaccata alla vita, ai sensi, le cui radici classiche si intrecciano a suggestioni culturali anglofone.

L’evento  è organizzato e curato da Francesca Del Moro insieme al gruppo 77.

Sul palco:
Marina Artese, Daniele Barbieri, Alessandro Brusa, Enzo Campi, Martina Campi, Serena Costanzini, Alessandro Dall’Olio, Leila Falà, Rita Galbucci, Maria Genovese, Michele Gentilini, Monica Graldi, Isabella Magarò, Claudia Piaz, Valentina Pinza, Francesca Serragnoli, Adriana M. Soldini, Francesco Alberani.

Bologna
sabato 7 settembre
Circolo Arci Guernelli
via Gandusio 6
ore 20.30
ingresso libero



QOHELET. UNA RISCRITTURA IN VERSI

All'interno del festival internazionale di poesia VOCI LONTANE, VOCI SORELLE, tradizionale appuntamento dell'estate fiorentina, giunto alla sua undicesima edizione (qui il programma in formato pdf), avrò il piacere di prendere parte all'evento qui sotto descritto:

QOHELET. UNA RISCRITTURA IN VERSI 
Letture di Paola BALLERINI, Micol DEGL'INNOCENTI, Katia FERRI, Andrea GIGLI e Annarita ZACCHI, accompagnate da una scelta di versetti nella traduzione di Guido Ceronetti.
Sonorizzazione dal vivo di Davide VALECCHI (aal).  A cura di Elisa BIAGINI.

MARTEDÌ 17 SETTEMBRE
ore 18, CANGO - Cantieri Goldonetta
via Santa Maria 25, Firenze
ingresso libero


Poesia: una questione di fede

         Ripubblico qui un articolo già apparso in Versante Ripido, con alcune mie riflessioni sulla scrittura poetica.


         Nel febbraio del 2013, su invito dell’editore e amico Alessandro Ramberti sono stato chiamato a partecipare a un convegno avente come tematica il rapporto che intercorre tra fede e scrittura[1].
         Vi ho subito intravisto la possibilità di parlare e in qualche modo fissare in un discorso una mia vecchia e radicata convinzione in materia di scrittura poetica e cioè quella per cui chi scrive poesia abbia bisogno di una fede che sostenga l’atto dello scrivere.
         La fede a cui mi riferisco non ha niente a che vedere con la sfera religiosa ma è piuttosto una fedeltà ad una modalità del dire il mondo (con tutte le infinite implicazioni che questo sottindende) che si manifesta e vuole uscire fuori in risposta a un’esigenza innegabile di indagine e comunicazione con piani diversi dell’esperienza.
         Questa modalità del dire il mondo è ovviamente la poesia stessa.
         A che cosa si è fedeli dunque quando si scrive? Tenterò di dare una risposta partendo dal mio personale percorso conoscitivo.
         Per ragioni biografiche, culturali e probabilmente anche geografiche, più o meno in età adolescenziale, ho iniziato a sentire l’esigenza di un sistema che potesse fissare e descrivere un’esperienza della realtà (che ancora non comprendevo appieno) diversa. Un sistema che mi mettesse in comunicazione con un “tutto” legato alle mie esperienze passate e future, reali, immaginarie, desiderate, sognate.  Un sistema capace di genere testimonianza in forma di visioni esatte.
         Avvertivo la presenza di una zona di non detto a cui il pensiero poteva arrivare senza però riuscire a tradurla in parole. Una zona riempita di percezioni sensoriali e mentali, una sorta di realtà aumentata in continuo movimento, in attesa di un varco, di un espediente per poter essere colta e finalmente detta.
         Tutto questo, l’avevo capito subito, non poteva incanalarsi verso un tipo di scrittura narrativa o diaristica[2]: avevo bisogno di qualcosa di non lineare, diverso, potente, profondo. E breve.
         E alla fine – o all’inizio, sarebbe il caso di dire – il varco per accedere a questo sotto-(iper-)mondo, si è presentato.
         Ho iniziato a scrivere poesia intorno ai 19 anni, “folgorato” dall’incontro con il libro[3] di un poeta sconosciuto scovato alla Feltrinelli di Firenze oltre venti anni fa. Mi piace pensare a questo libro come a una chiave d’ingresso: per la natura fortuita dell’incontro e perché, nonostante avessi molte volte già avuto a che fare con la poesia per ragioni scolastiche, nessun autore canonico era stato capace di smuovere alcunché. O, molto più semplicemente, ero io a non essere ancora in grado di vedere.
         Dentro a quel libro comparivano, in mezzo a composizioni non eccelse, certe immagini folgoranti e certe intuizioni che chiamavano in causa, descrivendolo, dicendolo,  proprio quel magma di interconnessioni e significati di cui intuivo la presenza e a cui stavo cercando di accedere da anni.
         Quel libro mi ha mostrato un modo per entrare in comunicazione con un altro mondo: mi ha offerto un linguaggio e il punto di ingresso per iniziare a comprenderlo.
         Il primo passo è stato quindi quello di andare a cercare la poesia. O, se vogliamo, di tornarvi, per guardarla con occhi diversi. E cercarla significa leggerla ma anche conoscerne la storia, le origini, le correnti, le forme e gli sviluppi.  E mi preme aggiungere a questo riguardo che gli aspetti tecnici della poesia (metro, figure retoriche e tutto quanto il resto) non sono optional ma elementi che è indispensabile conoscere per poi lavorare alla costruzione dei propri “strumenti del mestiere”.
         Solo in questa maniera è stato possibile iniziare a definire quella serie di punti fermi capaci di compiere il miracolo di dare forma a un’intuizione che fino ad allora era rimasta relegata in un limbo pre-verbale.
     E’ necessario costruire, in una parola, il proprio linguaggio; per farlo sono richiesti un rigore e un’attenzione estremi: nel testo poetico la parola è davvero indifesa ed ogni elemento di cui è composto deve trovare la propria giustificazione. Non esiste il caso, l’improvvisazione.
         Tutto questo non era così chiaro all’inizio ma con l’andare del tempo ho iniziato a maturare un sistema di convinzioni che mi sostengono ancora, stabilendo di non considerare mai concluso il lavoro di indagine, di non accontentarmi degli strumenti acquisiti ma di cercare sempre di affinarli ed espanderli passando attraverso prove, ripensamenti, rifacimenti, errori. Per me scrivere poesia, oggi più che mai, è lavorare in sottrazione, cercando di portare alla luce dettagli liberati da sedimenti inutili.
         E’ in questo frangente che si manifesta l’identità della scrittura poetica come atto di fede: solo rimanendo fedeli all’indagine e alla mai conclusa costruzione del proprio linguaggio poetico è possibile cogliere nella natura delle cose il passaggio di una visione, quell’impercettibile scarto energetico capace di trasformare entità inerti in presenze vive e portatrici di senso.
         E in fondo questa non è altro che una dichiarazione di poetica: della mia poetica. Qualcosa in cui, inevitabilmente, continuo ad avere fede.



Ce ne vorrebbe di tempo
per tirare fuori i nomi
dal mucchio di oggetti da macero
cresciuto dietro la casa non finita.

Anche il periodo dell’anno
finisce per contare
con l’ora del giorno
la lunghezza delle ombre
i piani di esistenza
e i tappini di latta
dei succhi di frutta
ritrovati nell’erba.

Ma è il nome del riflesso
che cambia di continuo
e sotto tutto il resto
a ruota.

(da: Chi scrive ha fede?,  Fara Editore, Rimini, 2013)



L’ultimo nostro coincidere
riposa fuori dalle traiettorie,
tra i nomi rimasti a sbiancare
sul cemento infiltrato dalle acque,
purificato per tutta l’estate
da un sole senza tregua.

L’avamposto sul ciglio del burrone
è il primo muro di un’idea mai nata:
accoglie i segni di cosmologie
accennate, coperti
di fioriture semplici
e piccolissime esistenze.

Da qui si può osservare
- ed essere osservati da lontano
come puntini neri in controluce -
il fondo della valle
dove scorrono i convogli
insieme a tutto il resto.

(da: Scrivere per il futuro ai tempi delle nuvole informatiche, Fara Editore, Rimini, 2012)



Il sapore del conforto ha la forma
di riflessi difficili da cogliere
su scaglie di materia refrattaria
confuse con la ghiaia di fiume
lungo strade che quotidianamente
percorrevi.

Giorni disseminati
sono rimasti appesi alla natura
delle cose, visibili soltanto
per istanti, nel silenzio, seguendo
gli angoli di incidenza della luce.

(da Magari in un’ora del pomeriggio, Fara Editore, Rimini, 2011)



Una certa dolorosa chiarezza
del campo visivo restituisce
immagini inopportune all'ambito
delle parole, mentre ti allontani
lasciandomi in pegno frasi complesse
che mi dovrò far bastare per anni.

L’aspetto pomeridiano delle mura
che sostengono i campi in pochi giorni
decanta verso zone consuete:
l’avanzare dei licheni prosegue
inavvertito, cocci di terraglia
affiorano in zolle di terra smossa,
steli d’erba tagliente si confanno
alla spinta del vento.

(da Magari in un’ora del pomeriggio, Fara Editore, Rimini, 2011)

[1] Il convegno si è tenuto a Rapallo nei giorni tra l’8 e il 10 febbraio 2013 e aveva come titolo Chi scrive ha fede?, dove la fede era sì quella religiosa, ma poteva essere intesa anche come un ideale, un approccio etico alla vita, una attenzione (in senso weiliano) fiduciosa al mondo e agli altri. Un volume dallo stesso titolo contenente gli interventi e le testimonianze dei partecipanti è in uscita per i tipi di Fara.

[2] Queste stesse considerazioni sono state poi di ispirazione per il mio progetto musicale aal (almost automatic landscapes) fondato sulla ricerca sonora in campo elettro-acustico, concreto, elettronico e ambient.

[3] Giacomo Bagni, Sguardo di sogno, Cultura Duemila Editrice, Ragusa, 1991.