Un libro di poesia

Erano mesi che non scrivevo qualcosa qui, ma non sempre c'è qualcosa da dire, effettivamente.

Per cui rompo un silenzio di cui dubito importi a qualcuno per parlare di un libro di poesia che mi ha letteralmente riacceso l'entusiasmo per questa forma di letteratura a cui ho dedicato molte risorse ed energie, nonché amore, in questi ultimi venti anni o giù di lì.

Il libro, di cui vedete la bella copertina con un'illustrazione di Dante Zamperini, è una raccolta poetica di Stefano Calemme, classe 1999, risultata vincitrice al concorso Faraexcelsior 2025 di Fara Editore, grazie anche al mio modestissimo contributo in qualità di giurato.

Incollo qui sotto le righe che ho scritto a motivazione del premio, che sono ben poca cosa rispetto alla materia poetica del libro, davvero densa e profondissima. Dopo l'immagine del libro qualche poesia da Atlante delle ferite. Vi invito caldamente ad acquistare il libro seguendo il link https://www.faraeditore.it/Crossover/Atlantedelleferite.html

Atlante delle ferite è una raccolta innervata da una lingua poetica solidissima, musicale, solenne, un flusso dal passo lento che non concede mai nulla al superfluo e che anzi fa di uno stile sorvegliatissimo ed elegante la sua cifra definitoria. Ma la materia poetica non si esaurisce in un mero esercizio di retorica, anzi: in questi testi si vola alti sulle ali dell'emozione perché ciò che viene messo in scena, nel nucleo di ispirazione principale della raccolta, è il contrasto sempre fruttuoso tra la finitezza e l'eterno, la dicotomia tra il mondo della voce scrivente, materiale, opaco, oscuro ma eminentemente umano e l'incontro con un'alterità numinosa, declinata al femminile, che assolve a una funzione salvifica e che spesso si presenta accompagnata da immagini di luce. Atlante delle ferite è un'opera matura e compiuta, destinata a lasciare il segno nella mente e nel cuore di chi la leggerà.




Passeggiando fra le tue ossa
ho visitato le rovine di una città
come in pellegrinaggio per la pace,
c’erano mura spoglie del calore umano
battiti conservati nel vetro
e un mucchio di acerbe ansie.
Al centro una piazza custodiva
il tuo incerto andare con un tempio
ad una sola colonna,
irraggiungibile per ogni bussola.
Mi indicava una via antica,
la traiettoria primordiale degli inizi
ma io non sono mai cominciato
ho sempre preferito perdermi
nel miracolo sensibile delle tue strade.


Da me pretendi il respiro, 
dici sia importante colmare d’aria 
i vuoti dell’universo. 
Io porto in valigia dei leggeri 
sussurri di vento, l’antico fiato 
nudo delle correnti marine. 
Non ho mai saputo urlare 
nel mio viaggio importano le soste 
l’indugio in cui si induriscono 
i grumi informi delle mie orme. 
Da quaggiù ti vedo saltare 
in sussulti più rapidi di me 
oltre le voci di un mondo che va 
in scie che io non sento.  


Li senti ancora i fiori spezzarsi 
fuori casa quando mi spiegavi 
come si cuciono attorno al fuoco 
i lembi secchi delle cose vive? 
C’è la guerra in cortile e tu 
hai dipinto quelle quattro pareti 
di un profumo esule da ogni pelle 
umana, dentro i boati 
annientati dalla tua voce. 
Ora nessuno annusa più, 
sono tutti come morti affamati 
del gusto della propria ombra 
ultimo terreno sporco rimasto  
che illuso si dà per te nel giardino 
dove mi concedi di imparare 
come da un’altalena si possa ancora 
volare.