I nomi coinvolti è un poemetto di circa cento versi scritto tra il 2013 e il 2014, buona parte dei quali endecasillabi, e rappresenta il risultato di un esperimento condotto attraverso
Twitter che prevedeva il rilascio di un verso (un endecasillabo) al giorno, come spiegato
qui. Una parte del poemetto è già apparsa su
Poetarum Silva, mentre, nella sua interezza, è risultato tra i vincitori del concorso
Insanamente 2014, indetto da
Fara Editore, e successivamente incluso nel volume antologico del premio
Siamo tutti un po' matti. Insanamente 2014 (Fara, 2014). Stilisticamente rappresenta un momento di passaggio tra le modalità di scrittura del mio libro del 2011
Magari in un'ora del pomeriggio (Fara, 2011) e i risultati della mia ricerca poetica presenti in
Nei resti del fuoco (Arcipelago Itaca, 2017). Tra il 2014 e il 2016
I nomi coinvolti è stato letto a due voci in più occasioni da me e dalla poetessa e carissima amica
Simona Cerri Spinelli. In questo post potete leggere
I nomi coinvolti per intero, mentre a questo
link potete scaricarne una copia in formato pdf.
Si apre una raccolta di elementi,
la sedimentazione non è certa:
attraversando una soglia di fibre
resta sul fondo un tono innaturale.
Una stagione di polvere e luce
in piedi per un soffio, per un sibilo:
il bianco aumenta la ripetizione,
un punto dentro al mare di riverbero.
Tutto è stato diviso con un taglio:
un lavoro di impronte sulla pietra
riflesso da una scheggia di calcite.
Il giorno cade, il nome si spegne,
l'aria contiene un luogo di radici
senza generazione, come un vuoto.
Il primo segno della tua vecchiaia:
un pomeriggio immobile, arancione,
un sigillo tentato, quasi innocuo,
salendo verso una definizione
d’identità minore.
Tracce di ferro marcano il terreno:
siamo spariti per un tempo breve
ritornando da luoghi non previsti.
Ricade il seme dell'imperfezione
dentro la consuetudine dei muri:
per una conoscenza della linea
devo passare l'emisfero freddo
rivolto verso gli anni scoperchiati,
fino all'attesa ricompensa d'acqua,
chiuso nel confortevole congegno.
Tutte le insegne sono state esposte,
la luminosità riconosciuta,
il tempo esatto di un'orbita intera
chiude il percorso
senza conversazioni immaginarie.
Guardiamo fuori per sapere il giorno,
non c'è più niente di rinchiuso:
nell'immobilità degli anni luce
le immagini convergono, cambiate.
Il rifugio è invisibile da fuori,
qualcosa nella stanza più lontana
rimanda segni di sostituzione
un grado sopra il colore di fondo.
Tutti i nomi coinvolti, sulla lingua,
per ascoltare il crepitio dei muri
dentro un'eredità di scalfiture
chiusa dalla durata delle impronte.
Si tratta di frantumi in ogni caso:
il dovere del tempo è una finzione,
deposito di voci,
conforto di macerie.
Uscirne senza segni, senza nodi,
nessuna cura per il desiderio:
il peso ininfluente delle ossa.
Tutto il lavoro per la vita incolume
e per un crollo che avviene in silenzio:
persone inesistenti, liberate,
tracce organiche, come di parole,
un bastione di cocci e terra nera,
preparativi per il terraforming.
Identità pronta alla sparizione
fino a sentirsi bianchi, cancellati:
memoria della mani in dissolvenza,
qualcosa che hai lasciato da bruciare.
Da qui la vista è nuova, cambia il fuoco:
canti della dorsale sottopelle.
Viene alla luce l'era del distacco:
giorni non veri scritti nella pietra,
l'ultimo pomeriggio di pulviscoli
dove non siamo mai nati davvero.
Il folto si interrompe all'improvviso:
il sole impone di chiudere gli occhi
poi si prosegue sotto il cielo aperto
andando incontro a docili rovine,
la corona di carta sulla testa.
Vento ordinario, svuotato di voci:
il luogo afferma la tua estraneità
con ogni movimento degli steli.
La pienezza si compie e muore subito:
nel mondo percepito con le mani
la casa non è stata mai finita.
Ora deve iniziare la discesa
in direzione dell'iridescenza
considerando ogni filo impigliato,
ogni frattura della superficie:
una compiuta costruzione tattile
per raggiungere il termine del vetro,
il punto dove devo scavalcare
in cerca di reliquie trasparenti
per innalzare un altro monumento
alla carne dei sogni e dell'assenza.
Più avanti l'ombra inizia a frammentarsi:
non è previsto rimanerci dentro
ma camminare interamente in luce.
Una distesa di impronte sbiadite
per un avvento simile alla ruggine.
Quello che accade è oltre ciò che vedo:
il sonno delle scorie in sottofondo,
figure riaffiorate per nessuno,
i laconici giorni rovesciati.
Il confine comincia a scomparire
mentre ogni passo si copre di nomi:
fondare altro, perdere i ritorni.
Appare la controparte dei luoghi:
un parallelo di sguardi brevissimi.
Sulla tua forma attuale: congetture.
Non una somiglianza si è spezzata,
ovunque un attributo di esistenza,
come un precipitato,
la vita conferita a ogni millimetro.
Non c'è struttura o semplificazione:
consueta grazia del dimenticare.
L'universo si assaggia con la lingua
ma i tuoi codici cadono più a fondo
e in questa luce tutto è riscritto:
il primo nome ritrovato è un suono,
il nome successivo è la bellezza,
il terzo nome è un giorno che non termina,
il quarto nome è la guerra finita,
il quinto nome è il tuo nome e non cambia,
il sesto nome è il cuore dell‘incendio,
con il settimo nome una chiusura:
il vetro si opacizza nuovamente.
Nel proverbiale lampo di interezza,
nella profondità della vertigine,
ho visto il luogo dove sei adesso
e il materiale emerso è senza fine:
parole per gli oggetti che hai sfiorato,
il tempo tra il tuo indice e il mio nome.
Nella fotografia sei lontanissima:
il tono dei tuoi sogni è il paesaggio
mentre ritorna il sangue.
Come sempre
rinascerai da un frammento invisibile
passandomi attraverso senza attrito.
Non è più il giorno l'unità di tempo:
riformulare da capo i rituali
per ogni componente della polvere,
descrivere le impronte digitali,
una insignificante nudità,
la mia migliore opinione di te
dentro agli spazi del nostro coincidere.
Registro ciascun segno sulla pelle:
la rifrazione non accade più,
l'altra immagine prende il sopravvento.